Quattro chiacchiere tra donne: Cristina, la sindrome di Sjögren e la capacità di andare oltre

Cristina una Donna come “tante”. Nasce, cresce, s’innamora, si sposa, diventa mamma di due ragazzi, che oramai hanno spiccato il volo.
Una vita come tante! Beh, non direi proprio.
Facciamo un passo indietro.
Cristina è diventata donna, si sposa, aspetta un bambino. La sua vita cambia, gioia e dolori…ma prima, molto prima dell’ecografia. Perché?
Arrivano i figli. Gestire tutto non sarà stato semplice.
Il Covid ha monopolizzato l’attenzione di tutti e l’opinione pubblica sembra essersi dimenticata di tutte le altre patologie.

Al telefono hai detto “tutto sommato mi è andata bene”. Perché?
Un paio d’anni dopo il matrimonio cominciai ad avere una serie di sintomi strani: secchezza oculare, mancanza di saliva… inizialmente non diedi molto peso alla cosa, lo considerai un fastidio transitorio. Cominciai a preoccuparmi quando a queste “stranezze” si aggiunsero dolori articolari alle ginocchia e alle caviglie, che la sera si gonfiavano e diventavano nere, rendendo doloroso anche il camminare. Dopo una prima visita nella quale la diagnosi fu “stress”, ovviamente non convinta e non sapendo a quale specialista rivolgermi, con mio marito decidemmo di consultarne uno qualunque, andando avanti ad esclusione, fino a quando non avessimo trovato quello giusto per il mio caso. Fui fortunata perché il primo medico che scegliemmo diagnosticò la Sindrome di Sjogren, una patologia reumatica autoimmune.

Quali sono state le conseguenze, nelle dinamiche familiari, di questo tsunami?

Sorvolando sull’uragano iniziale che mi (ci) travolse (non conoscendo la malattia e non sapendo come sarebbe evoluta), dopo aver consultato lo specialista che si interessava di questo tipo di patologie decidemmo di metter su famiglia. Ebbi tre aborti, credo legati alla malattia. Penso questo perché, quando, dopo il quarto tentativo, seppi di aspettare il mio primo figlio la gioia della notizia fu annebbiata dalla possibilità che la malattia andasse ad intaccare il cuore del bambino. I primi 5/6 mesi di gravidanza furono caratterizzati da frequenti controlli del cuoricino del bimbo e dal cortisone, che dovetti prendere per tenere fermi gli anticorpi che non riconoscevano il feto, ma alla fine le cose andarono bene. Dopo tre anni decidemmo per un altro figlio. Stesso copione, ma con più fiducia rispetto alla prima gravidanza. Nacque così mia figlia.
Gestire due bimbi con una qualsiasi malattia non è facile. Nella mia quotidianità prevalevano dolori reumatici, astenia, medicinali che procuravano nausee e vomiti, frequenti ricoveri…. Devo molto a mio marito e, finché hanno potuto, ai miei genitori. Ma nonostante tutto, oggi i bimbi sono ragazzi che vivono la mia situazione con consapevolezza e serenità.
L´arrivo del Covid ha complicato parecchio le cose dal punto di vista sanitario. Non tanto l’opinione pubblica, ma il sistema sanitario ha dovuto affrontare un’emergenza mondiale trovandosi costretto a stabilire delle priorità e generando inevitabilmente delle ingiustizie. Nel mio caso, mi furono sospese le infusioni mensili (riservate giustamente ai casi più gravi), a cui si aggiunse l’improvvisa sparizione dalle farmacie del farmaco alla base della mia terapia. Fu “requisito” perché ritenuto efficace nella lotta al Covid. Non ti nascondo che in quei giorni prevalsero di nuovo la preoccupazione e la paura e non mi sollevava il poter prendere, in alternativa, il cortisone che in passato mi ha procurato qualche danno. Alla fine, con un dosaggio ridotto dal reumatologo ed un po’ di fortuna, ho tirato avanti fino al ritorno alla normalità.
A parte il momento iniziale, ad oggi posso dire serenamente che la malattia non ha pesato moltissimo sulle dinamiche familiari e sulla mia vita. Forse più per problemi organizzativi, in particolare quando erano piccoli i figli, dovuti ai vari ricoveri fatti sempre fuori regione.

Forte della tua esperienza cosa ti senti di dire a chi sta affrontando il tuo stesso problema?

Cosa dire a chi si trova ad affrontare il mio stesso problema? Poco. Posso solo consigliare di non sottovalutare qualsiasi “novità anomala” del fisico, di fidarsi dei medici anche se le terapie spesso fanno paura, di non tralasciare controlli, analisi e simili. Per la mia esperienza un aiuto in questa malattia è stato tentare di fregarla sul tempo, cercando di frenare la possibile evoluzione.

E a chi è “responsabile” della tua guarigione?

Concludendo, ad essere sincera, oggi come oggi non mi sento “malata”. Probabilmente perché con le terapie iniziali più potenti i medici, nel tempo, sono riusciti a stabilizzare la malattia. Certo, tra le altre cose mi ha intaccato i reni in modo serio, ma non è peggiorata. Mi sembra un buon risultato… Sotto altri aspetti, invece, mi sento di dire che in questi anni ho avuto modo di conoscere un patrimonio umano che mi ha arricchito, mi ha fatto crescere. Le competenze e l’umanità dei medici che ho incontrato, del mio nefrologo, in particolare, che oggi purtroppo non c’è più. Le amicizie vere, nate in ospedale con altre pazienti, tra i miei punti di forza, con cui condivido ancora oggi paure e risate. Che le malattie pur non essendo facili da affrontare e gestire, possono diventare fonte di umanità. E che la salute è un bene prezioso.

A cura di Paola Gallese

 

Foto di Pxhere.com

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