Chi è nato nella seconda metà del secolo scorso, spesso ha sentito dire “se vuoi lavorare devi andare all’estero, in Italia non c’è niente”. Da qualche anno a questa parte sotto accusa non è la mancanza di offerta di lavoro, bensì il sistema scolastico e il conseguente abbandono da parte di molti studenti. Proviamo a mettere a confronto due generazioni, per cercare di capire il loro punto di vista. Iniziamo, dunque, questo confronto con la “vecchia generazione” incontrando Eugenia, laurea in geografia, che “il caso” ha portato 24 anni fa fuori i confini. Ma non dispera un giorno di tornare.
Eugenia, quale è stato il tuo percorso di studi?
Ho frequentato l’università dell’Aquila dove mi sono laureata in geografia. Durante i miei studi ho partecipato al progetto Erasmus, grazie al quale ho potuto studiare un anno in Francia, a Bordeaux. In quegli anni, il sistema di studi francese era molto diverso da quello italiano e permetteva di frequentare delle specializzazioni post-laurea molto mirate e non dispinibili in Italia. Dopo la laurea sono dunque tornata in Francia, questa volta a Parigi, per frequentare una specializzazione sulle problematiche dello sviluppo nei paesi tropicali. In seguito (dopo aver lavorato otto anni) ho preso un anno sabbatico per frequentare une master in sistemi di informazione geografica (GIS) e telerilevamento, sempre in Francia.
E quali sono state le successive esperienze professionali?
Benché avessi previsto di restare a Parigi solo un anno, dopo la specializzazione (per motivi personali) ho deciso di restare e ho cominciato a lavorare in una casa editrice specializzata in cartografia. Professionalmente l’esperienza è stata interessante e ho imparato moltissimo. Mi mancava però la possibilità di viaggiare (cosa che avevo sempre voluto fare). Così, dopo 8 anni, approfittando di un dispositivo pubblico francese che finanziava la “riconversione professionale”, ho potuto prendere a frequentare il master, che fra l’altro prevedeva uno stage de 6 mesi. Così sono sbarcata in Mauritania, presso una ONG francese che lavora per lo sviluppo locale. Finito lo stage, sono stata assunta per occuparmi degli studi, delle banche dati e della cartografia. Da allora sono rimasta in questo campo professionale, continuando ad occuparmi du studi di terreno, banche dati e cartografia per differenti ONG (sia nel campo dello sviluppo che dell’emergenza). Questo mi ha permesso di consocere molti paesi dell’Africa subsahariana (dal Kenia al Mali, dalla Somalia al Congo, e altri). Da un anno e mezzo sono in Tunisia.
Perché l’estero?
Sicuramente perché ho sempre avuto voglia di conoscere paesi diversi, ma anche perché all’estero ho trovato delle opportunità che non c’erano in Abruzzo. Negli anni 2000 (più o meno quando sono arrivata a Parigi), di offerte di lavoro ce n’erano moltissime e non c’era bisogno di conoscere nessuno… bastava avere le competenze richieste, mandare un curriculum ben scritto e fare un buon colloquio. Oltre a non esserci in Abruzzo le opportunità nel campo che mi ineteressava, pensavo (e in parte lo penso ancora) che l’unico modo per avere un lavoro in Abruzzo fosse attraverso conoscenze e raccomandazioni, cosa che ho sempre detestato.
Perché non l’Italia?
Beh, un po’ per caso. Negli anni 2000 probabilmente c’erano opportunità di lavoro anche a Milano. Ma, trovandomi a Parigi per gli studi, è stato più semplice continuare lì. Poi è stato il tipo di lavoro che svolgo che mi ha portato a lavorare fuori dall’Italia. Con la diffusione dello smartworking, magari, fra qualche anno tornerò, continuando a lavorare su paesi esteri.
Cosa pensi del sistema scolastico italiano?
Sinceramente non saprei dire. Da quando ho finito gli studi, le cose sono cambiate moltissimo. Quando sono andata in Francia per l’Erasmus, il sistema italiano dava certamente una cultura di base più ampia e solida. Mancava invece l’aspetto più specialistico e professionalizzante. I miei amici insegnanti qui in Italia mi dicono che questa base culturale ampia oggi si è molto assottigliata, ma non so se almeno sugli aspetti piu specialistici ci siano stati miglioramenti.
E cosa pensi dell’offerta lavorativa in Italia?
Anche su questo punto non sono molto informata perché non ho mai cercato un lavoro in Italia. Credo comunque che se si vuole svolgere una bella carriera professionale, almeno in certi campi, bisogna uscire dall’Abruzzo, magari per tornare qualche anno dopo. Insomma, credo che in molte professioni le opportunità forse in Italia ci sono, ma bisogna andare nelle grandi città.
Cosa ti senti di consigliare ai giovani?
Per prima cosa di cercare di fare un lavoro che piace. Passare 40 anni della propria vita a fare per 8 ore al giorno qualcosa che non piace è davvero dura! E poi, di tempo per fare altro ne resta poco. Certo l’aspetto economico è importante, ma (soprattutto quando si è giovani) meglio cercare di crearsi una professione interessante… anche se magari ci vuole più tempo e qualche sacrificio all’inizio. La seconda cosa è di crearsi delle competenze di base ampie e pensare che nel corso della vita si può avere voglia di cambiare lavoro… o esserci obbligati (per esempio in caso di licenziamento). Più le competenze sono ampie e generiche, più è facile riconvertirsi. In alcuni lavori, con il tempo si acquista valore (perché il lavoro è evolutivo e si aggiunge l’esperienza), in altri si diventa meno competitivi (perché le competenze sono troppo specifiche e limitate e possono difficilmente esere riutilizzate altrove). E poi, soprattutto, quando un lavoro è troppo ripetitivo si perde la capacità di imparare altre cose. Come terza cosa, ovviamente credo sia importante andare a vedere cosa succede altrove. Non necessariamente per andare via per sempre, anche solo per rendersi conto che si possono fare le cose diversamente, insomma avere un punto di vista più relativo su se stessi e il mondo in cui si è nati (ci sono moltissime possibilità per farlo: dall’ Erasmus per gli studenti ai progetti di volontariato internazionale).
Foto di copertina: Atlas du Sud-Est Mauritanien di cui Eugenia è coautrice
A cura di Paola Gallese
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